Quando il vecchio mugnaio morì, lasciò in eredità al figlio maggiore il mulino, al secondo la casa e al minore - Giacomino - un gatto macilento.
I due fratelli maggiori furono molto soddisfatti di quanto gli era toccato, ma Giacomino guardando tristemente il suo gatto mormorò: «Eh, amico mio, sono stato proprio sfortunato!»
«Oh, io direi proprio di no» ribatté il gatto strizzando uno dei suoi occhietti verdi. «Dammi un paio di stivali e una bisaccia e chissà... Forse ti porterò fortuna.»
Il fatto che un gatto parlasse era già straordinario, perciò Giacomino lo portò dal calzolaio senza dire altro. Scelsero un paio di alti stivaloni gialli da cavaliere e una bisaccia. Appena li ebbe calzati, il gatto si dileguò.
«Immagino che sarà l'ultima volta che lo vedo», sospirò Giacomino.
«E pensare che ho speso quasi tutto il mio denaro per quegli stivali, pazzo che non sono altro!»
Intanto, arrivato nei campi, il gatto piantò una fila di lattughe e mise l'ultimo cespo nella sua bisaccia aperta, poi si sdraiò come il più morto dei gatti.
Dopo un po' fece capolino un coniglio e una per una rosicchiò tutte le lattughe fino a giungere a quella che spuntava dalla bisaccia. Mentre si accingeva a mangiarsi anche quella il Gatto con gli Stivali strinse con una zampata la cordicella e lo imprigionò nel sacco, poi si affrettò verso il palazzo del Re di Sabarac.
«Il mio padrone vi manda questo umile dono», disse il Gatto offrendo il coniglio al Re, «nella speranza di potervene offrire di ben più ricchi nel suo castello.» E si inchinò fino a terra.
Il Re alzò un sopracciglio. «Ma che gatto beneducato» pensò.
Il giorno dopo, il Gatto con gli Stivali andò di nuovo nei campi e seminò una lunga traccia di grano fino ai piedi di una grossa quercia, poi si nascose tra i rami. Due fagiani beccarono il grano, chicco dopo chicco, finché il Gatto con gli Stivali, saltando giù dall'albero con la bisaccia aperta, li imprigionò. Poi tornò di corsa al Palazzo di Sabarac con i due fagiani.
«Il mio padrone vi invia questo piccolo presente» disse il gatto, «e spera un giorno di avere l'onore di ricevere Sua Maestà a pranzo nel suo castello.
E si inchinò, fino a toccare con la fronte per terra.
Il Re alsò entrambe le sopracciglia e disse: «Gatto, chi è il tuo padrone?»
«Ma... il Marchese di Carabas!»
«Allora, ti prego, prendi questa piccola borsa d'oro e portala al tuo padrone, come segno della mia riconoscenza. Digli che mia figlia ed io saremo lieti di pranzare con lui domani. E ora vuoi dirmi dove si trova il suo castello?»
Con il denaro il Gatto con gli Stivali andò di filato a comprarsi un bel cappello da cavaliere ornato di piume di struzzo e con un nastro rosso. Al mattino andò dal suo padrone.
«Dove sei stato?» sbottò Giacomino, «sono due giorni che non mangio. Ti avverto che la carne di gatto comincia a sembrarmi appetitosa!»
Il gatto alzò con impazienza una zampa.
«Fai quel che ti dico e stasera stessa indosserai gli abiti di un Marchese e pranzerai in un castello di tua proprietà. Ma ora hai bisogno di un buon bagno!»
E condusse Giacomino a un fiume che scorreva lì vicino. «Spogliati e salta dentro!»
Brontolando e rabbrividendo, Giacomino fece come gli era stato detto. «Accidenti, che acqua fredda! E poi, che vai dicendo? Che vuol dire che avrò un castello di mia proprietà?...» Ma il Gatto non lo ascoltava. Prima bruciò gli abiti stracciati di Giacomino e poi corse sulla strada, incontro alla carrozza del Re.
«Aiuto! Aiuto! il mio padrone sta affogando! Il Marchese è stato aggredito dai banditi: gli hanno rubato gli abiti e lo hanno gettato nel fiume. Aiuto! Aiuto!»
Il Re mandò subito tutti i suoi scudieri in aiuto di una persona così importante, e insisté perché Giacomino accettasse il suo manto di ermellino.
«Salite, Marchese. Stavo giusto venendo al vostro castello per pranzare con voi.»
Naturalmente, tale affermazione avrebbe dovuto mettere Giacomino in allarme, ma proprio in quel momento egli aveva scorto la bella figlia del Re e rimase incantato a guardarla.
Nessuno si accorse che il Gatto con gli Stivali non era salito in carrozza, ma era invece corso avanti verso un lontano castello. Per strada, incontrò dei mietitori che tagliavano il grano.
«Lasciate che vi metta in guardia amici» sibilò. «Il malvagio Marchese di Carabas sta arrivando! Se non gli dite che queste terre sono sue vi farà certamente a pezzi!»
Poco dopo, la carrozza del Re passò di lì e il Re sporgendosi chiese: «Di chi sono questi campi?»
«Del Marchese di Carabas» risposero in coro i mietitori. Il Re rimase favorevolmente impressionato.
Intanto, il Gatto era corso avanti ancora per qualche chilometro e aveva incontrato un uomo che stava arando.
«Lascia che ti metta in guardia, amico!» sibilò il Gatto con gli Stivali. «Sta arrivando quell'assassino del Marchese di Carabas! Se non gli dirai che queste terre sono sue, ti farà certamente a pezzi!»
Pochi minuti dopo arrivò la carrozza reale. Il Re, sporgendosi, chiese: «Di chi sono queste terre?»
«Del Marchese di Carabas» rispose l'uomo inchinandosi profondamente.
Il Re era sempre più colpito: «Che possedimenti estesi avete, giovanotto.» Ma Giacomino non stava ascoltando. Fissava intensamente negli occhi la principessa e lei lo ricambiava.
Intanto, il Gatto con gli Stivali era arrivato al castello di un terribile Orco che divorava chiunque osasse avvicinarsi. Erano appunto le sue terre che avevano appena attraversato.
«Salve!» disse il Gatto all'Orco. «Ho viaggiato mille miglia per conoscerti perché mi hanno detto che puoi trasformarti in qualsiasi animale tu voglia. Dimmi, è vero?» L'Orco, che aveva già afferrato il Gatto per la coda, e se lo stava facendo dondolare sopra la bocca aperta, sorrise compiaciuto. «Si capisce che è vero. Io sono un orco formidabile!»
«Ma riesci perfino a trasformarti in un leone?»
«Naturalmente.» E pochi secondi dopo il Gatto veniva inseguito sui tetti e sui merli del castello dall'Orco che si era trasformato in un feroce leone. Il Gatto si nascose dietro un comignolo e gridò:
«Bravissimo! Ma il leone era facile... è così grosso! Invece scommetto che non sei capace di trasformarti in un animale piccolissimo, per esempio... un topo!»
«Si capisce che sono capace» ruggì il leone, punto sul vivo.
«Io sono un leo... un orco formidabile!» E grugnendo e sbuffando l'Orco si trasformò in un topo.
Con un balzo, il Gatto lo afferrò e ne fece un solo boccone, assicurando così al suo padrone la proprietà del castello e di tutte le terre intorno.
E chi arrivò pochi minuti dopo?
Il Re in persona, con la principessa e Giacomino. Il Gatto si inchinò così profondamente che le piume del suo cappello spazzarono il pavimento.
«Il pranzo è servito!» annunciò.
Il pranzo dell'Orco risultò delizioso e più che sufficiente per tutti e quattro.
Ma il Re, per tutta la durata del pranzo, dovette accontentarsi di parlare col Gatto, perché la Principessa e Giacomino erano occupatissimi e fissare amorosamente negli occhi.
Quando il Re riuscì a catturare l'attenzione di Giacomino, lo nominò Principe di Carabas, affinché potesse sposare la principessa. E tutti furono felici. Il Gatto con gli Stivali divenne Cavalier Gatto, l'Acchiappatopi Imperiale, ma siccome l'Orco si era già mangiati tutti i topi del castello, passò in ozio il resto dei suoi giorni.